Il Natale in Sardegna è una festa dal sapore familiare, ricca di calore, suggestioni e antiche tradizioni che affondano le radici in tempi lontanissimi e vengono tramandate di generazione in generazione da diversi decenni.

La festa che celebra la nascita di Gesù Cristo è preceduta dalla stagione dell’avvento e dura dodici giorni, come stabilito nel 567 dal Concilio di Tours, dal 25 dicembre fino al 6 gennaio (Epifania del Signore) che commemora la prima volta in cui Gesù si mostrò al pubblico e venne visitato dai Magi come rappresentanti simbolici di tutta la terra.

Il termine per indicare il Natale é comunemente: Sa Paschixedda o Pasca de Nadale

La Pasqua (la resurrezione di Cristo) viene chiamata: Pasca e’ Abrile o Pasca Manna. L’epifania: Pasca de sos tres res. La Pentecoste: Pasca de tres Flores.

Il termine che accomuna tutte le festività é: Pasca (Pasqua) che significa appunto Festa. Ogni comune e regione ha le sue influenze linguistiche ma il termine Pasca accomuna generalmente tutta la Sardegna.

Le origini storiche della festa non sono note ed esistono diverse ipotesi che provano a spiegarne la nascita, ma due sono quelle più diffuse e conosciute. La prima vuole che la data del 25 dicembre sia stata scelta per far coincidere la festa pagana del Natalis Solis Invict (Giorno di nascita del Sole Invitto), con la celebrazione della nascita di Cristo che nel Libro di Malachia, un testo contenuto nella Bibbia ebraica (Tanàkh) e cristiana, è descritto come nuovo “sole di Giustizia”.

Una seconda tesi, invece, sostiene che esista un legame tra Natale e i Saturnali, un ciclo di festività celebrate nell’antica Roma tra il 17 e il 23 dicembre in onore di Saturno, dio della rigenerazione e dell’agricoltura.

Le celebrazioni dedicate alla divinità venerata dai Romani prevedevano sontuosi banchetti durante i quali avveniva lo scambio di piccoli doni, detti strenne (che significa “regalo di buon augurio”), mentre tra i partecipanti era diffusa l’usanza di scambiarsi l’augurio.

L’usanza dei festeggiamenti é quella tipica della fede cattolica: il 24 Dicembre la famiglia si riunisce per festeggiare la vigilia con la cena di Natale.

Tutti insieme si va alla messa di mezzanotte mentre il giorno seguente il 25 Dicembre, si festeggia la nascita di Gesù bambino con il classico pranzo di Natale in famiglia.

La festività del Natale è legata alla tradizione e, le le tradizioni del Natale, nei paesi della Sardegna, sono spesso legate alla cultura agropastorale: è il caso di "Sa nott’è e xena", cioè la “notte della cena”, che coincide con la notte della Vigilia e anticamente segnava il rientro a casa di tanti pastori dalla transumanza per trascorrere le festività con i propri cari.

"Sa nott’è e xena" è il momento in cui tutta la famiglia si riuniva intorno al camino, elemento simbolo della festa, dove durante la notte di Natale veniva bruciato Su truncu de xena, un grosso pezzo di legno che secondo la tradizione, per portare fortuna alla famiglia, doveva rimanere acceso per tutta la durata delle feste fino all’Epifania.

Una leggenda nuorese narra che anche le anime dei defunti di famiglia si avvicinassero al fuoco caldo del camino durante la notte della Vigilia e per questo motivo era diffusa l’usanza di lasciare un boccale di vino e del cibo sulla tavola per tutta la notte.

Gli anziani intrattenevano i bambini con le storie di creature che popolano il folklore sardo e i più piccoli potevano divertirsi giocando con la tombola o "su barralliccu" una sorta di trottola a quattro facce ognuna delle quali aveva incisa una lettera: T per “tottu” (tutto), N per “nudda” (niente), M per “metadi” (metà) ed infine, P per “poni” (metti). Se la trottola si fermava sulla lettera T, il giocatore vinceva il premio, composto da noci, castagne e frutta secca, ma se il destino sceglieva la sfortunata lettera P, il giocatore doveva rinunciare al suo bottino.

Il focolare, dunque, già fulcro della vita domestica, in occasione del Natale assumeva un valore simbolico ancora maggiore, che diventava quasi un rituale.

Nel caso delle famiglie più povere che non potevano permettersi un abbondante pranzo, la comunità mostrava la sua generosità offrendo la cosiddetta “mandada”: una scorta di cibo che difficilmente si consumava in grandi quantità durante tutto l’anno (salsiccia, formaggio, dolci).

Ma i veri protagonisti del Natale erano i bambini, che solo in occasione di feste particolari potevano stare svegli fino a tardi. Sullo sfondo tante piccole storie familiari e, soprattutto, squarci di umanità con spaccati di vita di paese, ma anche favole e racconti macabri che funzionavano da veri e propri spauracchi. Le leggende sum streghe e creature fantastiche che turbavano la quiete delle notti di feste erano diverse da villaggio a villaggio, pur assomigliandosi tutte: da Maria Mangrofa (la strega divoratrice di bambini di Orosei) a Maria Puntaoru (creatura malvagia che tastava il ventre dei bambini durante il sonno e, se questo fosse risultato vuoto, avrebbe infilzato la loro pancia con uno spiedo d’oro appuntito). Queste leggende si rivolgevano al mondo dei bambini, per indurli all'osservanza delle buone regole, ma parlavano anche al mondo degli adulti, spesso accecati dall’odio e dalla bramosia di potere.

Ancora oggi, quelle storie di paura e di magia rappresentano una componente viva del patrimonio culturale sardo: fanno parte, a pieno titolo, del tesoro narrativo che va tutelato se non si vogliono perdere pagine significative del nostro passato.

Con l’avvicinarsi della mezzanotte, il rintocco delle campane avvisa la popolazione che stava per iniziare la messa di Natale

Lo scrittore sardo Salvatore Cambosu, ripensando alla sua Orotelli, ben descrive l’atmosfera di Sa nott’è e xena nella sua opera “Miele Amaro”: “Certo, ci vuole proprio un villaggio perché un bambino come Gesù possa nascere ogni anno per la prima volta. In città non c’è una stalla vera con l’asino vero e il bue; non si ode belato, e neppure il grido atroce del porco sacrificato, scannato per la ricorrenza. In città è persino tempo perso andar cercando una cucina nel cui cuore nero sbocci il fiore rosso della fiamma del ceppo”.

Sa nott’è e xena è solo una delle numerose tradizioni del Natale in Sardegna che spesso mescolano elementi religiosi, antichi riti e credenze popolari.

Nella cattedrale di Alghero, ad esempio, durante la notte del 24 dicembre è possibile assistere all’esecuzione del suggestivo canto della Sibilla, detto Signum Judicii un canto medievale che testimonia i profondi legami fra la città e la Catalogna. Il mito della Sibilla, personaggio dotato di virtù profetiche, risale alle antiche civiltà greca e romana e in occasione della celebrazione della Vigilia annuncia il ritorno del Salvatore durante il Giorno del Giudizio.

Anche in Barbagia non mancano tradizioni legate alle festività natalizie e di fine anno: la più conosciuta è Sa Candelaria, un rito che si celebra a Orgosolo ogni 31 dicembre. A partire dalle 8 del mattino e fino a mezzogiorno, i bambini tra i quattro e i dodici anni vanno di casa in casa ripetendo ci date la candelarìa? Per l’occasione le donne orgolesi preparano il Su cocòne de sa candelaria, un pane tipico della zona, da donare ai piccoli visitatori insieme a soldi, caramelle, dolcetti e frutta.

Un’altra antica tradizione natalizia della Barbagia è Su Nenneddu, una piccola statua di Gesù Bambino che a Bitti viene portata in processione di casa in casa e accompagnata con canti e preghiere.

Ma per capire l'importanza del Natale in Sardegna  bisogna considerare un dato fondamentale.

Due milioni sono i sardi che vivono fuori dall’isola. E forse nessun altro popolo più dei sardi, risente la lontananza dalla propria terra tperchè ritornare in Sardegna a Natale racchiude un significato molto profondo: rappresenta sostanzialmente tornare a casa, ritrovarsi in famiglia e riconnettersi con le proprie origini.

E quando questo non è possibile allora interviene la tecnologia... gli incontri on line come il caso del laboratorio "Distanti ma uniti. Casa Sardegna on line". un laboratorio nato il giorno di Sa Die de Sa Sardigna del 2020 in piena pandemia, per iniziativa dei Circoli “Amistade” della Cina (Shangai), “Isolas Giappone” (Tokyo), ACSIT di Firenze e “Peppino Mereu” di Siena, con l’obiettivo di riunire virtualmente i Circoli distanti tra loro e distanti dalla Sardegna.

Grazie a questa iniziativa, anche quest'anno, per il terzo anno consecutivo, gli emigrati sardi si sono incontrati per scambiarsi gli auguri di Buone Feste, ascoltare i racconti della tradizione sarda e cantare.

Ad allietare l'incontro, l'immancabile musica e il canto di Beppe Dettori, voce dei Tazenda che ha animato la serata con il canto "Domo mea", un canto che oltre a rievocare i suoni della nostra tradizione, esprime in parole, i sentimenti degli emigrati sardi in un periodo particolare come questo del Natale... quando il cuore richiama la nostalgia di famiglia, di casa...

"Anche se non è più casa mia

Sento le tue melodie"

Perché la Sardegna è "casa, è famiglia" anche quando sei distante, anche quando vivi lontano dalla tua Terra, e anche quando sei figlio/a di emigrati sardi e l'amore per l'Isola fa parte di te come il sangue che scorre nelle vene...

"Ti cherzo donare su sambene

Ses sa vida mea

E t'amo, e t'amo

Ses sa vida mea"

Gli emigrati non dimenticano la Sardegna, e speriamo che anche la Sardegna, chi la governa, non si dimentichi di loro e abbia un occhio di riguardo nei confronti di chi deve viaggiare ...perché i costi dei biglietti aerei, proprio nel periodo Natalizio, sono spesso difficili da sostenere.

Buone Feste a Tutti!

 

Stefania Cuccu

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