Le migrazioni sono la storia di chi è andato via per restarsene altrove per sempre o è tornato, ma anche di chi è rimasto, e le ha subite magari credendo di essere fortunato a restare. È la storia dei luoghi della partenza e dell'arrivo. È, in sintesi, la nostra storia ...
Gli storici concordano nel far risalire le prime consistenti ondate migratorie agli ultimi anni dell’Ottocento.
Si tratta di una emigrazione prevalentemente rurale che si dirige soprattutto verso l’America, ma anche l’ Africa, dove sono presenti alcune colonie italiane e in parte anche verso l’Europa.
Fra il 1876 e il 1900 il totale degli emigrati sardi viene calcolato in 8.132 unità (con una media di 325 emigrati l’anno). Nei primi anni del Novecento si continua con un andamento ascendente (tra il 1901 e il 1915 gli espatri dall’isola raggiungono le 89.624 unità), fino ad arrivare nel 1913 a 3.988 emigrati verso l’Europa, 7.130 verso l’America e 1.147 verso Africa.
Durante il primo conflitto si registra una sensibile diminuzione degli espatri, che riprendono, anche se in minore misura, nel periodo postbellico.
Partono dai Centri industrializzati del Sulcis: si tratta di operai ma anche di una emigrazione specializzata. L’emigrazione sarda marca un’inversione di tendenza rispetto a quella meridionale, privilegiando come sbocco principale il bacino mediterraneo e, in modo particolare, il continente europeo, dove viene inviata manodopera per lavorare soprattutto nelle miniere del Belgio. Gli emigrati, affrontano non solo i pericoli della vita in miniera, ma anche la povertà e il razzismo.
Si lavora per otto ore, e poi spesso soprattutto gli italiani si prestano a fare un secondo turno, in cunicoli stretti, alti a volte solo 40 centimetri, a temperature anche di 45 gradi.
Oggi questa terra è diventata per tanti sardi una seconda patria, ma non è stato un regalo, è stata una dura conquista che i loro padri hanno pagato con la loro salute e la loro vita.
Dalla fine del 1900 a oggi, l’emigrazione cambia volto.
A partire non sono più soltanto operai o contadini, ma anche studenti e laureati che cercano un salario e una occupazione consona ai loro studi e alle loro competenza.
Il flusso migratorio non si arresta ma cambia volto. Se diversa è la politica dei Paesi ospitanti, non cambiano invece le motivazioni che portano le persone a partire: vi è una condizione generale di arretratezza e di insufficienza dei contesti di partenza che non consente al migrante di autorealizzarsi nel suo luogo d’origine.
Partire, però, non è mai stato semplice: chi ha abbandonato l’isola manifesta, risentendone, un sentimento di nostalgia sempre più forte per le proprie radici, ma si rassegna di fronte all’evidenza che la sua vita non è più in Sardegna.
Partire, a volte, sembra essere l’unica soluzione, anche se parlare della propria terra lontana, anche quando all’estero si sono raggiunti risultati insperati e insperabili nell’isola sotto il profilo socio-economico, provoca una commozione difficile da descrivere con le parole.
Elemento importante per aiutare i nostri emigrati nel processo di ambientazione e di integrazione è stata anche la nascita dei Circoli degli Emigrati Sardi che, col tempo, hanno acquisito dimensioni che vanno oltre l’incontro nostalgico con il cibo e il ballo tradizionale, cercando di essere ambasciatori di una cultura regionale dinamica cui gli emigrati continuano a dare un contributo.
I sardi emigrati hanno avuto la forza e la dignità di non dimenticare, di sentirsi sardi anche fuori dalla Sardegna, anzi ancora di più al di fuori dell’isola; un popolo unico che ama la sua terra e soffre profondamente per essa. E, per quanto dura ed amara, sente che è sua e solo ad esso spetta il compito, e il dovere, di sostenerla, promuoverla e migliorarla...
Stefania Cuccu