Meteo. Condizioni avverse e criticità moderata per mercoledì 4 dicembre
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Se dovessimo pensare in termini di mercato o valutare su una scala dei rendimenti economici, l’impegno dello Stato italiano per lo sviluppo di infrastrutture nell’Isola, probabilmente ci troveremo indietro di secoli.
Nella valutazione dello sviluppo di infrastrutture in Sardegna, tale approccio purtroppo è stato in parte seguito, in una combine di interessi che agevolano prezzolati “sostituti” a tempo, oramai incompatibili con il mercato aperto e l’ecosistema.
Quest’Isola non ha mai visto lo sviluppo di una rete ferroviaria, come neppure la realizzazione di una sua dorsale a doppio binario ed elettrificata.
Tuttora si trova di fronte ad una viabilità stradale incompleta e decadente, che ha visto il suo sviluppo nel dopoguerra, qualche incremento negli anni successivi e il decadimento nei recenti.
La stessa rete elettrica di distribuzione presenta carenze e una palpabile inefficienza, tant’è che al primo temporale, le disalimentazioni delle utenze periferiche assumono entità significative, cui gli indicatori quantitativi non evidenziano per l’esiguità dell’energia non fornita, pur riguardando molteplici piccole utenze.
Nonostante le millantate azioni della Regione nella precedente legislatura, che di quella attuale ancora non è dato conoscere, non abbiamo visto sorgere nessuna rete di ricarica per auto a trazione elettrica.
Vent’anni fa un certo numero di imprenditori e qualche intellettuale sparuto, parlavano e preconizzavano una rete di telecomunicazioni efficiente, per connettere il “fare” dell’Isola con il mondo.
Oggi siamo ancora in attesa del completamento della messa in funzione della fibra ottica posata nei centri urbani da Openfiber, avvenuta senza interessare le aree più periferiche della Regione, che restano escluse da tale servizio.
Negli anni ottanta e nei primi anni novanta, la Regione, o l’Ue, finanziavano la realizzazioni di reti elettriche negli agri irraggiungibili o non elettrificabili a costi accessibili, con lo scopo di favorire un ulteriore sviluppo delle aziende agrarie, in questo modo servite da questo bene primario.
Per quanto riguarda la rete idrica, realizzata negli anni con più consorzi, enti e società pubbliche, poi riunite sotto un’unica società per azioni qual è Abbanoa, abbiamo solo la fortuna che l’eccesso di precipitazioni riesce a contrastare le insufficienze dei bacini di raccolta e le mai attutite perdite nelle condotte.
In questa condizione marginale e precaria, la nostra Sardegna non vi è giunta per “caso” o perché ha dovuto subire un destino scritto nel cielo.
La politica regionale e dei suoi rappresentanti in Parlamento è stata, alternativamente, sprone e causa di questo delitto di arretratezza infrastrutturale, di cui la nostra Isola è vittima.
Ancora oggi non siamo riusciti a dare garanzia per un affidamento della continuità territoriale, su cui imprenditori e cittadini contano, per poter vivere e lavorare tra la Sardegna e il mondo.
Oggi ci troviamo di fronte al necessario phase out dal carbone, che ha come data limite il 2025.
In un Isola dove l’energia elettrica è prodotta in prevalenza da centrali a carbone, che assolvono i compiti di copertura del fabbisogno e di sicurezza elettrica, nessuno può pensare ad un loro spegnimento nel 2025, a causa di assenza di alternative.
Non esistono allo stato attuale tecnologie in grado di assolvere al compito di integrare la variabilità di produzione elettrica da fonti rinnovabili, eoliche e fotovoltaiche, sicuramente non nella misura dell’energia necessaria al contesto isolano.
Un ulteriore collegamento in HVDC, ovvero in corrente continua in alta tensione, con un cavo tra noi e la Penisola, assolverebbe parte delle esigenze, ma non certo al compito di una sicurezza effettiva, e soprattutto traslerebbe altrove gli oneri e gli utili delle necessarie produzioni di energia elettrica, su altre centrali della Penisola.
Certo ci vorrebbe una rete per il gas naturale, sicuramente la dorsale agognata e credo, senza sbagliarmi, che al posto degli impianti di gasificazione ipotizzati per le navi gasiere, sarebbe necessario un gasdotto diretto dal nord africa o dalla stessa Sicilia, in luogo del cavo elettrico o se volete insieme ad esso.
Sicuramente è necessario rendere appetibile la conversione a gas delle centrali del Sulcis e di Fiumesanto, ancora oggi dichiarate essenziali da Terna.
Ovviamente se ancora una volta dovessimo ricadere nella scelta necessaria, avvalendoci di una valutazione sull’ipotetico fabbisogno degli utilizzatori del gas naturale, di cui imprese e civili, probabilmente non riterremmo opportuna la spesa necessaria, per la realizzazione di tale opera primaria.
E del resto non faremmo che allinearci all’inerzia e alle non scelte, cui negli anni la scelleratezza di una classe dirigente, accettata dalla maggioranza dei sardi e dall’intero Paese, ha imposto perseguendo obiettivi personali.
A noi non serve solo un nuovo cavo elettrico attraverso cui ottemperare al phase out dal carbone, ma più connessioni attraverso più cavi elettrici rispetto agli esistenti e almeno un gasdotto, con cui tenere in piedi un’economia industriale.
Perché non dobbiamo e non possiamo essere solo utenti passivi, ma anche e soprattutto produttori attivi.
Usando esempi più comprensibili, non abbiamo necessità del “pesce”, ma della canna da pesca con cui procurarci il pescato in ogni momento, e in misura maggiore quando nessuno è disposto a fornircelo.
Non possiamo garantire dei monopoli cui il Gpl (gas petrolifero liquefatto) è oggi detentore attraverso i suoi produttori, che alterano il prezzo finale dal 20 al 30% in più rispetto alla media nazionale.
Parimenti non è pensabile assolvere al fabbisogno energetico dell’utenza elettrica, attraverso un unico produttore, che consente di coprire l’80% del fabbisogno, attraverso la marcia serrata di una centrale elettrica, garantita da una fonte primaria pagata come se fosse una rinnovabile, ma generata dallo scarto di raffinazione del petrolio, e non soggetta al mercato elettrico giornaliero, come se essa stessa fosse una fonte eolica o fotovoltaica.
Ovvero dobbiamo incentrare uno sviluppo su una parziale capacità di autonomia energetica, sul piano della produzione, con una diversificazione delle fonti primarie e dei soggetti fornitori, da sempre concetto base e strategico per la sopravvivenza di qualsiasi comunità.
Altresì sarebbe auspicabile che la politica di questa Regione, come quella nazionale, riesca a prendere decisioni in autonomia rispetto alle potenti lobby locali e nazionali, che per troppo tempo hanno determinato, direttamente o indirettamente, scelte improbabili per le specifiche peculiarità dell’Isola.
Maurizio Ciotola